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About Me

La mia foto
Mi chiamo Martina. Sono oggettivamente piena di speranze. In cosa, non si sa. Poco in me stessa, molto nel futuro, troppo nel passato. Ho vissuto sei anni a Torino. Scuola Holden, poi giornalista per il quotidiano La Stampa. Attualmente sono tornata ad Arezzo, dopo sei mesi di densissima vita a Bologna. Ancora devo capire perché.

Disclaimer

  • Le foto su questo blog sono state recuperate da Pinterest e dal web. Nel caso conosceste i nomi dei fotografi, ditemelo. Sarà cosa gradita. Chiaramente i testi sono miei. Chi oserà rubarli / plagiarli / copiarli avrà l'immediata caduta delle dita delle mani, dei piedi, dei capelli e anche un po' di malocchio. Giusto per avvertire.

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mercoledì 20 giugno 2012





Che poi, voglio dire.
Avere infinite ore davanti a sé di nulla più totale causa l’assenza di lavoro e un caldo micidiale (la rima non era voluta. chiedo perdono) che farebbe morire una pianta grassa porta a fare un paio di riflessioni.

Vi illustro la situazione.
Sono seduta su un divano di pelle. Seduta è un eufemismo, dato che sono scivolata così in basso (e in tutti i sensi) che immagino non si riesca a distinguere le mie braccia dai braccioli del divano. 
Comunque. Ho, nell’ordine:
  • alla mia sinistra un ventilatore. Fisso. Velocità 3. Indirizzato sulla mia faccia. Da almeno 4 ore.
  • alla mia destra un bicchiere d’acqua ghiacciata. Leggermente frizzante. Giusto leggermente, poi sennò gonfia.  
  • di fronte a me il computer, sulle ginocchia (ma và?). Un po’ più in là l’ennesima lavatrice stesa. Questa però non è la mia, è della coinquilina infermiera (che coup de théatre...)
  • intorno a me, tanto caldo. Troppo. Nemmeno avere le finestre totalmente chiuse e andare per casa a tentoni, sbattendo dappertutto (maledetto cieco, ancora ce l’ho con te, sì, non mi dimentico che ancora devi pagarmi molto di più di quello che mi hai dato), serve a qualcosa.
  • dentro di me, nel cervello, tra i buchi di ricordi e le voragini di speranze, la voglia di fare qualcosa che però continua a rimanere lì, a non concretizzarsi. Castrarsi da soli, il mio nuovo sport preferito.

Ok, avete presente la scenografia?
Bene, adesso pensate al dramma. Il cuore del plot, il fulcro della storia. Al di là dell’insicurezza totale sul futuro, sulla città in cui riuscirò a vivere, sul lavoro (ah, che dolce parola, che meravigliosa e vana illusione, che idillica attività) che farò, il problema è un altro.

L’attesa.
Manco fossi incinta.

Devo aspettare che mi richiamino da quel posto di lavoro.
Devo attendere la risposta per email da quell’altro posto di lavoro.
Devo sperare che da qui a qualche giorno cambi qualcosa.

Insomma, c’è solo da rimettersi nelle mani degli altri.
Sinceramente, è una cosa che non sopporto.
Già nelle mie (dis)avventure sentimentali, bisogna sempre tenerlo presente, ho la costante che tutti mi mollano per tornarsene dalla ex. O qualcosa di simile. 
Insomma, fanno sempre in modo che io non abbia possibilità di scelta, di movimento, di dimostrazione che forse potrebbe funzionare. No, non sia mai, troppo semplice, col cazzo che facciamo in modo di poterci innamorare di te, sei la seconda scelta, ricordatelo sempre (scusate. Mi stavo immaginando gli ex, tutti insieme, camminare verso di me come uno squadrone della morte mentre dicono tutti la stessa frase: “seconda scelta”. Stanotte avrò gli incubi, lo so). 
Dicevo, già c’ho da gestire l’impossibilità di gestire i sentimenti, ora devo anche gestire l’attesa di un lavoro, l’attesa di una risposta, l’attesa di svegliarmi da un letargo che dura da anni.
E, non da meno, l’attesa di scoprire cosa succederà nella mia vita. 





Però concedetemi una domanda spassionata.


Un amore così mi dite un po’ dove si trova? Si compra? Si ordina su internet?

Sempre ad attendere, eh.


2 commenti:

  1. Io non attendo più risposte da tempo, ma non sono felice lo stesso. Fortunatamente ( anche se dipende dai punti di vista) un lavoro ce l'ho, ma è un lavoro che non amo per nulla e non mi piace.
    Ma è l'unico che al momento mi può permettere di avere una vita dignitosa, anche perchè guardandomi intorno vedo il nulla...
    Solo che odio pensarmi chiuso in quell'ufficio da qui alla pensione (ah, che dolce parola, che meravigliosa e vana illusione, cit. Martina), e odio me stesso per non aver avuto mai il coraggio di rimettermi in gioco...avrei voluto disegnare il mio futuro in maniera differente, ma ho sbagliato i colori...e ora vedo solo tanto nero...
    Ho la viva speranza che le persone intelligenti come te abbiano la loro chance, e la felicità che si meritano...aspettare è logorante, lo so, ma spesso è l'anticamera di un iridescente futuro...basta non farsi fagocitare dalla paura di non riuscire.
    Un abbraccio, Marco.

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  2. Forse è anche per risposte così che ho deciso di tenere questo blog.
    Grazie, Marco.

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