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Mi chiamo Martina. Sono oggettivamente piena di speranze. In cosa, non si sa. Poco in me stessa, molto nel futuro, troppo nel passato. Ho vissuto sei anni a Torino. Scuola Holden, poi giornalista per il quotidiano La Stampa. Attualmente sono tornata ad Arezzo, dopo sei mesi di densissima vita a Bologna. Ancora devo capire perché.

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  • Le foto su questo blog sono state recuperate da Pinterest e dal web. Nel caso conosceste i nomi dei fotografi, ditemelo. Sarà cosa gradita. Chiaramente i testi sono miei. Chi oserà rubarli / plagiarli / copiarli avrà l'immediata caduta delle dita delle mani, dei piedi, dei capelli e anche un po' di malocchio. Giusto per avvertire.

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martedì 12 giugno 2012





Il fatto che la fine del mondo sia il mio pensiero rincuorante del momento la dice lunga sull’inabile stato di depressione in cui verto.
Che poi, ammettiamolo: i Maya sono giusto una scusa per farci fare il bilancio delle nostre vite.

“Ragazzi, siete pronti? A breve la terra scomparirà! Avete fatto i bravi? Avete portato a compimento tutti i vostri progetti? Avete amato, odiato, scopato a sufficienza, riso, guadagnato tanti soldi, fatto vacanze da sogno e almeno un figlio? No? Bravi coglioni, non avrete più tempo.”

Ecco. I Maya sono così stronzi da metterci di fronte alle nostre debolezze.
Mi viene in mente la musica classica. Le incompiute. Tipo quella di Schubert. Le opere iniziate, promettentissime, e poi lasciate andare affanculo. Per la morte dell’artista o per la sua inedia (c’è, in fondo, così tanta differenza? Io credo di essere a metà, tra la morte cerebrale e quella fisica). Insomma, tutto quello che c’era di potenzialmente buono, che però non è stato sfruttato.

Potenziale. Che parola del cazzo. 

“Il ragazzo è bravo ma non si applica”
“Ha dell'ottimo potenziale, ma ancora le manca esperienza”
“Potenzialmente sei la donna della mia vita”
“Calcola il potenziale della seguente formula”
“Ti amo al 40%”

Ci siamo capiti.

Dicevo. I Maya. Il bilancio delle vite. Sarà che sono io la paranoica che ogni due minuti non faccio che pensare a quanto sia rimasta indietro, quanto ancora abbia da fare, quante strade percorse abbia lasciato non dico a metà, ma proprio all’inizio di un accenno di salita, quanto stia perdendo tempo. Eccetera. Ma questo mio essere schizoide mica porta a una reazione uguale e contraria (oggi ce l’ho con tutte quelle materie che al liceo non ho mai studiato, perfetto esempio di quanto sia stronza, vado sempre a pescare le cose impossibili, le falle di Matrix, il lato oscuro della forza, la mia pigrizia congenita che mi farà diventare un tutt’uno col divano); questo mio essere in affanno, al contrario, mi fa inchiodare ancora di più. Mi dico che ormai ho perso così tanto tempo che non vale la pena tentare di correre a doppia velocità pur di tentare di recuperarne un po’. 

Brava cogliona, direte voi.
In effetti, dirò io.

Però negli ultimi giorni sto migliorando.
Sarà il lavoro perso, l’università che incombe come spada di Damocle sulla mia testa (ecco, i miti greci li ho sempre letti e studiati con enorme gioia e soddisfazione. Sicuramente per colpa di Pollon, se mai avrò dei figli avranno dei nomi imperiosi e dispotici, che so, Medea, Morgana, Ettore. Poveretti), sarà il rischio di poter tornare indietro e fallire nuovamente. Ma mi sto muovendo. Magari è solo un’impressione ed è proprio la terra sotto di me che si crepa (vengo a vivere a Bologna e ci sono terremoti terribili, forse è il caso di farsi due domande), ma la voglia di fare qualcosa è tornata. Almeno per il momento.

Pregate che duri.

E che i Maya non me la gufino ancora.
Devo ancora fare tutte quelle cose indispensabili per una vita degna: andare a vivere a Parigi, perdere la testa per un jazzista di New Orleans (sì, New Orleans, problemi?), scrivere un romanzo alla Fabio Volo, farsi un tatuaggio da ubriaca, mangiare le cavallette in Thailandia, amare perdutamente qualcuno. Ed essere ricambiata, oh.




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