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About Me

La mia foto
Mi chiamo Martina. Sono oggettivamente piena di speranze. In cosa, non si sa. Poco in me stessa, molto nel futuro, troppo nel passato. Ho vissuto sei anni a Torino. Scuola Holden, poi giornalista per il quotidiano La Stampa. Attualmente sono tornata ad Arezzo, dopo sei mesi di densissima vita a Bologna. Ancora devo capire perché.

Disclaimer

  • Le foto su questo blog sono state recuperate da Pinterest e dal web. Nel caso conosceste i nomi dei fotografi, ditemelo. Sarà cosa gradita. Chiaramente i testi sono miei. Chi oserà rubarli / plagiarli / copiarli avrà l'immediata caduta delle dita delle mani, dei piedi, dei capelli e anche un po' di malocchio. Giusto per avvertire.

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lunedì 19 novembre 2012



Io ho sempre detto e professato una frase, neppure fossi Gesù nel tempio. Una Gesù con la gonna e le tette ingombranti, ma non è questo il punto.
Ho più volte declamato “rimetti a posto quello che c’è fuori, quando non sai ordinare quello che hai dentro”. Clap clap, mi facevo gli applausi da sola. Anche se poi non ho mai fatto niente di questo, sono sempre stata una fanciulla disordinata, un’amante dell’entropia estrema. Ma gli altri, gli altri questo mica erano tenuti a saperlo: l’importante era uscire con una frase ad effetto, lasciare le espressioni basite e, probabilmente, nelle loro teste la domanda “ma che cazzo ha detto??”.

Però ecco, adesso qualcosa è cambiato.
Ventisette anni e mezzo (sì, e mezzo, come quando si avevano sei anni e per sentirsi non proprio le pischelle di prima elementare si contavano i mesi, i giorni, probabilmente anche i minuti per sentirsi più grandi; ma perchè nessuno ha mai detto quanto avere accumulati sul groppone tanti giorni sia estenuante, faticoso, e tanto triste? Voglio un manuale da regalare alle mie numerose amiche incinta per evitare di crescere le figlie a suon di traumi), e per la prima volta nella mia vita mi sono iscritta in piscina.
Sì sì, sto facendo sport. Di quello da donne di mezza età, con un matrimonio allo sfascio, figlie tardoadolescenti che schifano qualsiasi contatto con la genitrice, con il mascara waterproof e il rossetto rosa confetto anche in acqua. Di quello che prevede costumi olimpionici orribili che schiacciano forme e strizzano culi, cuffie a pinolo, accappatoi di microfibra dai colori pastello e una totale assenza di erotismo. 

“con quel costume sei inchiavabile”
Lo ammetto, mi è stata detta anche questa frase. Ma io, stoica e fiera giovane donna bisognosa di attività fisica non orizzontale, non ci ho fatto caso e ho continuato.
In realtà ho pesantemente accusato il colpo e ho abbassato gli occhi sui cosciotti di pollo bianchi come un mobile LACK, sul costume Arena nero così-sembro-più-snella, sulle ciabattine infradito di plastica non accettabili nemmeno d’estate per andare al mare, figuriamoci d’inverno, e ho compreso di essere davvero inchiavabile. Almeno in quelle condizioni. Così ho scelto di rialzare lo sguardo, renderlo fiero, e scendere quei tre gradini di separazione dall’acqua riscaldata. In fondo c’erano le mie amiche cinquantenni ad attendermi per iniziare a muovere chiappe con l’aiuto di una cintura galleggiante.

Comunque.
A parte le declinazioni di mortificazione sessuale, ho finalmente scelto di aggiustarmi fuori. Una sorta di ristrutturazione dalle fondamenta. Certo, la casa non si può buttare giù e non si può trasformare in un loft; ma, almeno, renderla più accogliente sì.
Ho fatto degli enormi passi da gigante. Ho smesso di fumare. Cioè, in realtà ho smesso di fumare le sigarette vere donandomi anima e corpo a quella elettronica. Che però venerdì sera hanno scelto di rubarmi (ok, ero così sbronza che non riuscivo a mettere un pensiero dietro l’altro, quindi temo di averla persa, ma il mio orgoglio preferisce dire che qualche malintenzionato ha scelto volontariamente di sottrarmela). Così ne ho rifumate due-dico-due di quelle col tabacco, che si sa, se si è fumatori lo si è per sempre. E oggi ne subisco le conseguenze: mal di gola, senso di colpa, idiozia diffusa. Forse è il caso che segua il destino (?) e smetta davvero, una volta per tutte.
Mi piace quando mi redarguisco così, anche solo a parole. La mia coscienza sta meglio.

Poi c’è un altro aspetto da non sottovalutare: ho conosciuto le endorfine. Credo di volerne fare overdose: io, non avendo limiti o vie di mezzo, quando scopro che qualcosa mi piace pretendo di abusarne.
Masochismi di wertheriana memoria.
E poi. E poi è un modo per regolamentarmi (non regolarmi, no, qui si parla proprio di darmi da sola un regolamento: ritmo, tecnica, istruzione, disciplina, schemi, abitudine. Però non chiamatemi soldato palla di lardo) e tentare di dare, come dicevo, un ordine almeno a quello che c’è fuori. Che sia il fisico, la ceretta, il cibo, il taglio di capelli: bisogna pur partire da qualche parte. 
Da dentro no, pare mi sia scoppiata una bomba nel petto. Meglio un sano, superficialissimo guizzo estetico.