Non scherziamo, non stiamo mica parlando di quisquilie. Siamo andati a toccare un mostro sacro, un elemento imprescindibile, una pilastro nel fiume in piena delle vacuità.
Togliere lei da una delle soap più longeve e affidabili nella storia della tivù - solo Sentieri la supera - è come togliere a ogni donna, a ogni ragazzina, a ogni essere umano con una parte femminile sufficientemente sviluppata la terra da sotto i piedi.
Facciamo un passo indietro. È necessario per farvi capire questo mio ingestibile choc che si va a riversare anche su tutti gli altri aspetti della mia vita, dalla fiducia in un futuro migliore alla costruzione stabile di una famiglia.
Io, da quando ho memoria, ho sempre collezionato soap opera. Colpa di mia madre che, fin dalla più tenera età, m’infarciva la testa e gli occhi di pipponi melodrammatici ed enfatici (poi ci si chiede perché la mia vita sentimentale sia bucata e sfranta come una camera d’aria).
Dallas, Santa Barbara, Un posto al Sole le più accreditate. Ma nel mio immaginario, nel mio immaginario vi è una telenovela che si è incisa a fuoco: EDERA. Poche puntate per una lacrimevole e travagliatissima storia d’amore, con tanto di abbandoni, perdite di memoria, tradimenti e perdoni. ‘Na roba atroce.
Poi la madre era anche una finta cieca. Adesso mi è chiaro perché lo scorso anno, lavorando dal ciecodimerda © a Bologna, fossi così intrinsecamente disturbata.
Senza altresì cincischiare, seguitemi. Immaginate una bambina di otto anni circa. Capelli a caschetto, occhiali tondi dalla montatura rossa di metallo, una spiccata passione per i libri di Roald Dahl e con un numero spaiato di scarpe per le Barbie. Adesso collocate questa bella bimba in una camera grande e spaziosa, con un letto dalla testata bianca e rosa, un armadio con tanti vestiti colorati, innumerevoli fotografie di sé neonata e grassa appese alle pareti e una televisione regalata dalla nonna per la Comunione. Molto bene. Sappiate che quella televisione, ufficialmente di proprietà della bambina, poteva essere guardata solo in compagnia della madre. Che, dopo cena, si poneva indiscriminatamente sulla poltrona vicino al letto della piccola e, impugnando con alterigia il telecomando, si sintonizzava su Canale 5. Sulla sigla di Amedeo Minghi faceva durare le lamentele della povera vittima, ovvero io, quanto il bercio d’un gatto (cit.).
L’aspetto veramente drammatico è un altro. Queste telenovele serali le ho viste tutte a metà, ovvero fino alle 21,30. Perché, scattata quella nefasta ora, mia madre abbassava di tre tacche il volume e mi intimava con cinque lettere: “DORMI”.
Ho imparato a dormire con il faro di uno schermo televisivo puntato contro, le voci enfatiche dei doppiatori italiani che si accusavano l’un l’altra, una madre sorda ai bisogni della figlia di fronte a una soap opera. E, nonostante questo, ho imparato a crescere felice.
Più o meno.
Sempre che non si parli di telenovele. E di personaggi cattivi delle soap.
Sheila per esempio: chi mai potrà dimenticarsi di quella pazza scatenata che, nel pieno delirio d’onnipotenza, rapisce le figliolette di Taylor e Ridge e minaccia di ucciderle? Chi potrà rimuovere dalla mia memoria lo stupro di Giulia Poggi?
Insomma, non giudicatemi se c’ho messo un po’ a riprendermi dalla morte di Stephanie.
Sono colpi grossi.
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