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La mia foto
Mi chiamo Martina. Sono oggettivamente piena di speranze. In cosa, non si sa. Poco in me stessa, molto nel futuro, troppo nel passato. Ho vissuto sei anni a Torino. Scuola Holden, poi giornalista per il quotidiano La Stampa. Attualmente sono tornata ad Arezzo, dopo sei mesi di densissima vita a Bologna. Ancora devo capire perché.

Disclaimer

  • Le foto su questo blog sono state recuperate da Pinterest e dal web. Nel caso conosceste i nomi dei fotografi, ditemelo. Sarà cosa gradita. Chiaramente i testi sono miei. Chi oserà rubarli / plagiarli / copiarli avrà l'immediata caduta delle dita delle mani, dei piedi, dei capelli e anche un po' di malocchio. Giusto per avvertire.

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martedì 22 ottobre 2013





L’acquisto di un pigiama è sempre un trauma.
Io, che non porto/compro/indosso calzoni per scelta oculata da almeno sei anni, sono ancora più in difficoltà.

Ogni donna sa.
Sa che andare a provarsi un paio di pantaloni, dopo un po’ che non ci si pesa e che non si sa quanti chili si siano presi, provoca sempre strane palpitazioni e sudori freddi lungo la schiena. Ora, visto che la vita è già difficile di suo, ho scansato il problema smettendo direttamente di indossarli. E di sapere quale taglia ho.

Per il pigiama la questione è un po’ più problematica. 
Si dividono in due categorie:
  • più sono brutti, più sono caldi e comodi
  • più sono sexy, meno ti stanno bene.

Io, partendo dal presupposto che ancora indosso quelli che mi regalò mia nonna a dodici anni e quelli che mia madre non mette perché “hanno l’elastico dei pantaloni che tira troppo”, non faccio testo. In uno ho degli orsi e dei pinguini che sciano, in un altro un panda che va a dormire russando. Chiaramente entrambi da abbinare con i calzettoni di lana, a righe se va proprio di culo.
Addirittura ne ho uno che ormai, quando cammino, scivola a terra e mi ritrovo in mutande, con le braghe al ginocchio. Per questo lo fermo con un elastico per capelli, ma forse questo dettaglio non lo volevate sapere.

Tutto ciò, spero sia chiaro, quando dormo da sola. Quando non c’è nessuno a vedermi e sono trincerata in casa, lontana anche dagli specchi per il timore di poterli rompere.

Quando so di dover dividere il letto con qualcuno, invece, ci sono più soluzioni, a seconda del grado d’intimità e di interesse nel voler essere richiamata il giorno dopo.
Si può dormire nudi. Rischiando polmoniti e bronchite fulminante.
Si può indossare un baby doll tutto pizzi e trasparenze. Che pizzica la pelle peggio d’una maglietta della salute di lana e che ti farà sembrare tutto tranne che eccitante mentre tenti di grattarti la pelle senza dare nell’occhio.
Si può rubare la camicia o la t-shirt del proprio amante. Stando bene attente a non prendere quella con cui è stato a correre, si rischierebbe di avere più l’odore di un tombino intasato che di una sexy lolita.

Stamani, per andare sul sicuro, ho acquistato un pigiama di quelli di fascia media. Così brutto da poter sembrare quasi simpatico. 
Più sul filone trash che su quello erotico, non ho saputo resistere alla mega scritta sulle tette “eat me”. Riferita però a un gigante cupcake con le fragole stampato accanto. 

Io e la lussuria: un’unica cosa.

In un altro universo, credo di sì.



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