È proprio nei pomeriggi di pioggia di fine ottobre, quando non ti farebbe mettere il naso fuori di casa nemmeno la presenza di Johnny Depp nel bar del quartiere, che scegli di farlo.
Scegli di aprire lo scrigno dei ricordi e dei rimpianti, peggio, il vaso di Pandora, peggio, la frusta per il tuo culo (cit.): la scatola delle fotografie.
Ora, siamo d’accordo che tutti noi abbiamo ormai le foto in digitale. Che facebook e un hard disk esterno sono il nostro personale album fotografico. Ma converrete con me che le foto più amate, quelle a cui più siete ed eravate legati - e non parlo solo di quando avevate due anni e vi hanno congelato in una pellicola mentre vi facevate la pipì addosso - continuate a stamparle. Poi le riponete in un album e ve ne dimenticate, ma ancora - spero bene - si perdura nello sviluppo.
Ecco. Oggi l’ho fatto.
Con la scusa del “tanto non ho un cazzo da fare, ordiniamo un po’ le foto dell’infanzia”, ho aperto una voragine. Nell’armadio e nel cuore.
Vedi i tuoi genitori a vent’anni. Così belli e spensierati da sembrare finti. Un padre a metà tra Luigi Tenco e il Freddo della banda della Magliana. Una madre che sembra uscita da una pellicola di Buñuel. Li vedi così, e capisci che una simile felicità sia praticamente estinta.
Vedi tuo fratello piccolo e biondo, con gli occhi candidi e curiosi, e non ti capaciti di come possiate essere, adesso, così lontani. Rette parallele, sconosciuti con lo stesso sangue.
Vedi parenti di cui non ricordi nemmeno più l'esistenza, e i nonni ancora con qualche capello grigio in testa, che ti tenevano in braccio orgogliosi di tanta paffutezza.
Vedi gli amici dell’estate, gente che non incontri da almeno quindici anni, che pensavi sarebbero stati legati a te per sempre. I luoghi di un’adolescenza bellissima e scomparsa, così come quelle spiagge dalle sdraio di legno. Asfaltate per far posto a chissà quali nuovi ombrelloni in alluminio.
Vedi te stessa, dalla nascita a pochi anni fa. Vedi i tuoi capelli cambiare e l’espressione rimanere identica. Vedi le tette crescere parallelamente al culo, il cotone sostituirsi all’acetato. E vedi gli stessi occhi osservare spesso fuori campo, come alla ricerca d’altro, dell’altrove, di quello che non c’è.
E poi vedi le persone che non avresti voluto rivedere.
Anche se bidimensionali, spalmate su una carta lucida.
Che ti ricordano come tu voglia sempre far finta di poterle chiudere dentro una stanza dedicata ai fantasmi. Ma che, come ogni fantasma che si rispetti, ci sarà sempre un’ora in cui verranno a smuovere le catene e a fare un casino della madonna.
È per questo che nella tua infanzia hai imparato a memoria Ghostbusters, però.
Viva Peter Venkman.
Non posso che concordare in pieno, hai reso perfettamente l'idea descrivendo sensazioni ed emozioni che si provano in quei momenti!
RispondiEliminaGrazie davvero! È bello sapere che non sono l'unica matta. ;)
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