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Mi chiamo Martina. Sono oggettivamente piena di speranze. In cosa, non si sa. Poco in me stessa, molto nel futuro, troppo nel passato. Ho vissuto sei anni a Torino. Scuola Holden, poi giornalista per il quotidiano La Stampa. Attualmente sono tornata ad Arezzo, dopo sei mesi di densissima vita a Bologna. Ancora devo capire perché.

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  • Le foto su questo blog sono state recuperate da Pinterest e dal web. Nel caso conosceste i nomi dei fotografi, ditemelo. Sarà cosa gradita. Chiaramente i testi sono miei. Chi oserà rubarli / plagiarli / copiarli avrà l'immediata caduta delle dita delle mani, dei piedi, dei capelli e anche un po' di malocchio. Giusto per avvertire.

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lunedì 21 gennaio 2013





Huno sconsiderato amore barra dipendenza barra compulsione nei confronti della tecnologia, lo sapete bene. Rischio di poter stare attaccata al computer anche sei ore di fila, dimenticando le funzioni vitali e le necessità primarie: mangiare, bere, fare la pipì, sbattere gli occhi. Rischiando il distacco della retina, le vertigini e il vomito da inutilità personale quotidiana. Certo, me le cerco: a stento al mattino apro gli occhi che già ho in mano il telefono. Controllino veloce, già da prima di dare alle sinapsi il tempo di svegliarsi, a postafacebookwhatsapp. 
Poi giornali online, Kindle sul comò (quando perderò del tutto l’abitudine a leggere e sfogliare libri, vi prego, VI PREGO, uccidetemi), computer che accendo prima ancora di andare a lavarmi il viso. Ecco. Da qui inizia il baratro. Il baratro del “ma come cazzo ho fatto a stare 6 ore davanti al computer senza fare niente”. Bbbrr, rabbrividiamo, questi sono i veri misteri da proporre a Voyager, altro che gli alieni. Non scherziamo.Comunque il punto non è questo. Cioè, sì, è questo, ma c’è di più. 

LA LOCALIZZAZIONE.


Ecco, io ho accettato anche l’orario di invio e di lettura nella chat di Facebook, ormai è chiaro che la privacy è un accessorio di cui la gente non se ne fa di un cazzo. Sicuramente Zuckerberg l’ha inserito per evitare l’enorme fatica di dover digitare le lettere “guarda, ho letto ciò che mi hai scritto, ma ho più cura di un pomodoro spiaccicato sull’asfalto che di te, quindi ciao”, ma ha anche costretto le persone a trovare nuove strategie per rendersi fintamente offline per alcuni. Insomma, cosa non si fa pur di non dover dare spiegazioni.Però, dicevo. Il vero dramma ha un altro nome, minaccioso al solo pronunciarlo: la localizzazione. Il suo significato è: “hai uno smartphone? Tranquillo. Saprò dire al mondo dove sei e rovinarti qualsiasi piano segreto”. Ecco.


Ma tu metti che uno abbia l’amante. O, semplicemente, che voglia fare una sopresa. O anche solo farsi gli affari suoi e andare dove preferisce, senza necessità impellente di comunicarlo via web. No, non si può. Perchè sei sei rincoglionito come me che dimentico spesso di disattivare questa cazzo di localizzazione, cadi in fallo. È un po’ come passeggiare tra i leoni, capisci, la minima mossa falsa e ZAC, sei fatto a brandelli, mangiato, ruttato e digerito. Burp.E quindi devi essere pronto alle spiegazioni. Alle giustificazioni, alla mistificazione di qualsiasi eventuale ideologia. Perchè non è che devi modificare deliberatamente la realtà: devi comprovarla. Addurre prove e indizi credibili e sperare in qualche divinità superiore. E arrivi a sentirti in colpa, a pensare di essere nel torto, a chiederti perché hai scritto quel commento o sei stato taggato in quello status, a razionalizzare le paure, a condannare l'impulsività e la mancanza di coraggio, fino ovviamente a maledirti e a sentirti orribile e spregevole.


Tutto questo, diciamo, per una persona neghittosa che prova fatica anche ad alzare il telefono per ordinare una pizza, è altamente stressante. Ripetete con me: Zuckerberg, localizza tua sorella.






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