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About Me

La mia foto
Mi chiamo Martina. Sono oggettivamente piena di speranze. In cosa, non si sa. Poco in me stessa, molto nel futuro, troppo nel passato. Ho vissuto sei anni a Torino. Scuola Holden, poi giornalista per il quotidiano La Stampa. Attualmente sono tornata ad Arezzo, dopo sei mesi di densissima vita a Bologna. Ancora devo capire perché.

Disclaimer

  • Le foto su questo blog sono state recuperate da Pinterest e dal web. Nel caso conosceste i nomi dei fotografi, ditemelo. Sarà cosa gradita. Chiaramente i testi sono miei. Chi oserà rubarli / plagiarli / copiarli avrà l'immediata caduta delle dita delle mani, dei piedi, dei capelli e anche un po' di malocchio. Giusto per avvertire.

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venerdì 14 settembre 2012





Sono trascorsi tre mesi dall’ultima volta che ho avuto la voglia, il tempo o la pazienza di sedermi con il computer tra le gambe e scrivere.
Però, in mezzo:
  • l’ennesimo cambio di città, di prospettive, di ritmi, di lavoro (?)
  • un’estate trascorsa come a quindici anni. Mare, bagni, amici, risate, bevute (alcoliche, non d’acqua salata), amori perduti e altri rivelati, capelli schiariti dal sole, riccioli gonfi, pensieri sciolti, respiro sereno.
  • una consapevolezza in più. Quella di volersi - e potersi - ritrovare.

Quindi, abbiate pazienza se ho latitato così tanto. Se adesso vi scrivo da una cittadina sperduta in mezzo a girasoli e cipressi (no, non è la nuova pubblicità del Mulino Bianco con Banderas - a proposito, ma perché quel pover’uomo da Zorro è diventato il dissociato che parla con una gallina? perché?), se ho preferito galleggiare come un morto nell’Adriatico invece di scrivere.

Come cercare giustificazioni: MODE ON

Che poi, diciamolo, io le riflessioni che ho fatto gonfiando e sgonfiando la pancia a ritmo sul pelo dell’acqua non le faccio nemmeno sotto la doccia. O quand’ero adolescente (ieri, insomma).
Ok, non me ne ricordo neppure una. È che le avevo trascritte sul telefono, oggetto a me avverso che ogni mese decide di voler essere resettato, così ho perso tutto. Ovviamente.
Però, seguendo la logica delle connessioni, credo che pensassi a quanto tutto, tendenzialmente, sia come galleggiare. Lasciarsi trasportare dalla corrente. Sospendersi. Non avere la percezione reale di quello che c’è intorno. Testa ovattata, corpo abbandonato.
Ok, a leggerle nero su bianco c’è da vergognarsi, quindi facciamo finta che non abbia detto/scritto/pensato niente. Shame on me.

È, tutto questo, un girare intorno al vero nocciolo del problema. Non giudicatemi, altrimenti smettetela di leggere ORA e andate a vedere i video dei gattini su youtube.

Ecco. Il discorso sul lasciarsi trasportare è in funzione del fatto che un pomeriggio tra tanti, come tanti, mia madre entra in camera ed esordisce con la seguente frase: 
“oh, invece di leggere quei mattoni che leggi te, ti ho preso questo, sicuro che ti piace!”
Alzo gli occhi e lo vedo.
Copertina nera, una cravatta grigia, un titolo.
Sì, quello.
Cinquanta sfumature di mer... ehm, di grigio.
Guardo mia madre con gli occhi del terrore. A metà tra l’incredulo e il disgustato. In silenzio, a gesti, glielo faccio appoggiare sul comodino. 
Esce dalla camera, io faccio finta che nulla sia successo, riprendo a ordinare con minuzia certosina le canzoni su iTunes. Però sento che qualcosa è cambiato, una vibrazione nella Forza, una presenza negativa vicino, troppo vicino. Così schiaffo il mac sul letto e lo guardo. Il libro, intendo, lo guardo e lo prendo. Mi dico “ok, conosci il nemico, leggi un paio di pagine, capisci cosa funziona, perché ne sono state vendute milioni di copie, comprendi cosa fa veramente schifo e poi basta, mettilo lì in fondo alla libreria, nascosto dall’enorme peso specifico di Céline e DFW”. 

Solo che. C’è un MA, grosso come una casa. 
Di quel cazzo di libro non ne ho lette solo poche righe. L’ho letto in tre giorni. Tutto.
No, nel senso. Non che mi sia piaciuto. È avvenuta però una strana perversione. 
Insieme a La solitudine dei numeri primi, è il libro più brutto che abbia mai letto. Giuro. Non sarebbe verosimile nemmeno si vivesse nel paese degli asini volanti: lui è un fantomatico miliardario ventisettenne che ha creato il suo impero dal niente, bello come il sole, che guida un elicottero e ha proprietà e aziende in ogni dove; lei una sciacquetta anoressica insignificante, vergine a vent’anni, che vogliono tutti. Ora che ci penso, credo che sia un plagio di Twilight. Comunque. 
Ogni descrizione è fatta di merda. La frase “baci leggeri come piume” è ripetuta ogni paragrafo e mezzo. Le sensazioni descritte sono patetiche, gli scenari incomprensibili, i rapporti di causa/effetto improvvisati. Non c’è linearità, non c’è neppure trasgressione (ora, da che mondo e mondo, dov’è sadomaso il tenere le mani legate mentre si fa sesso? DOVE?). Insomma, è un Harmony, un po’ più dettagliato nella descrizione di una trombata, ma pur sempre un Harmony.

Eppure questa casalinga di Voghera inglese pare che abbia rivoluzionato la trattazione della sessualità in campo letterario. 
Io mi chiedo perché.
Certo, il libro l’ho letto. E anche in fretta, ero come drogata. Però ogni due-tre pagine mi dovevo fermare, fare una faccia disgustata, bestemmiare contro il cattivo gusto della scrittrice e proseguire. Ma in sostanza ha vinto lei.
Ha vinto la mediocrità di un libro spacciato come innovatore.

Il marketing, cosa non può fare.
La masturbazione delle casalinghe, la nuova frontiera del porno.





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